L’obesità non è semplicemente una malattia cronica, come spesso viene definita, ma è un disagio sociale, psicologico che inevitabilmente si ripercuote sul corpo, sicuramente influenzato da diversi fattori come la cultura, il contesto famigliare e sociale, caratterizzato da relazioni interpersonali disfunzionali, la poca conoscenza di come funziona il nostro corpo oltre ad un rapporto spesso non sano con sé stessi e di conseguenza con il cibo.

Non si possono ridurre le molteplici cause in frasi che spesso si sentono come “abitudini alimentari sbagliate” oppure “è solo una questione di pigrizia”, perché un’abitudine nasce da ciò che si conosce. Come fa ad essere sbagliato un comportamento come quello alimentare se non si hanno altri strumenti? Perché si pensa che chi convive con l’obesità non abbia voglia di vivere diversamente? Essere persone con obesità non è una scelta, spesso e volentieri è una condizione collegata, per esempio, a disturbi di tipo ossessivo compulsivo, oppure a traumi subiti a seguito di abusi e violenze sessuali. Ci si sente come non meritevoli di affetto, quando si guarda la propria immagine riflessa allo specchio si prova repulsione, insofferenza, non ci si accetta per quello che si è. Per chi soffre di questo disagio il cibo diventa una forma di consolazione, un rifugio sicuro, ci si riempie per sentirsi pieni e non pensare, per colmare un vuoto.

Secondo i dati dell’Oms sul 2019, oltre 340 milioni di minori, di cui 38 milioni di bambini di età inferiore ai 5 anni, sono in sovrappeso o obesi. In Italia quasi 3 bambini su 10, molto al di sopra della media europea e sempre di più si sta abbassando l’età dei bambini e degli adolescenti che vivono questo disagio.

Proprio per questo, nei mesi scorsi, ho depositato una risoluzione, insieme alla collega Cancelleri, sui Disturbi dell’Alimentazione dove impegnavo il Governo a intraprendere azioni di sensibilizzazione sul tema della consapevolezza alimentare: tra gli obiettivi l’introduzione della figura dello psicologo scolastico e la figura dello psicologo di base negli studi dei medici di medicina generale.

Sono fermamente convinta che l’obesità può essere contrastata investendo maggiormente nella Promozione della Salute, attuando quindi un approccio biopsicosociale al fine di promuovere stili di vita corretti e una sana alimentazione, oltre all’importanza di investire nella prevenzione, anch’essa uno strumento importante per il benessere sia fisico sia psicologico. Inoltre, in questo particolare momento storico, è necessario considerare l’obesità come un ulteriore fattore di rischio.

Se pensiamo ai periodi in cui i nostri ragazzi e le nostre ragazze hanno vissuto o vivono chiusi in casa, in DAD, perdendo il contatto con l’altro, con i compagni di classe o con gli insegnanti, ecco, in quei momenti si è sottoposti ad un forte stress psicologico, ad un impoverimento relazionale, che solo all’interno di contesti come la scuola può essere contrastato.

Ecco perché è così importante mantenere alta l’attenzione su temi come l’obesità e il disagio psicologico, affrontandoli anche nell’ottica dell’integrazione socio-sanitaria, proprio al fine di garantire una presa in carico che metta davvero al centro la persona, con le sue criticità e i suoi bisogni. Così come è importante la formazione in tutti i contesti, soprattutto educativi, come nella scuola, sul posto di lavoro e principalmente all’interno delle famiglie.Occuparci delle persone con obesità, in fondo, significa occuparci del benessere della nostra comunità.